GLI ALPINI
Dal Monte
Ortigara all’Afghanistan: la fulgida epopea del Dovere e del Sacrificio.
A Cura di Tullio Vidulich Generale di Brigata degli Alpini
Le Truppe Alpine
hanno avuto origine nel 1872, quando il Regno d’Italia dovette
affrontare il problema della difesa dei nuovi confini terrestri, che
dopo la guerra del 1866 contro l’Austria, coincidevano quasi interamente
con l’arco alpino. Da poco, infatti,
si era compiuta l’unità d’Italia con Roma capitale ed il nuovo stato si
trovava a dover affrontare una situazione internazionale molto delicata
per il riaccendersi di tensioni con la Francia e con la potente
monarchia Asburgica, ancora potenzialmente ostile dopo la cessione del
Veneto all’Italia. La mobilitazione
dell’Esercito e la difesa del territorio nazionale erano state, fino
allora, previste nella pianura padana in corrispondenza del vecchio
Quadrilatero perché le Alpi, nella concezione strategica del tempo, non
erano ritenute idonee a operazioni di guerra. La prima linea difensiva
vera e propria era, a quel tempo, imperniata sulle posizioni di
Stradella – Piacenza – Cremona in corrispondenza del fiume Po.
L’idea di affidare
la difesa della frontiera alpina ai valligiani del posto anziché
ricorrere a truppe di pianura, che oggi appare semplice e logica, a quei
tempi era assolutamente originale, quasi rivoluzionaria. Gli esperti
militari del tempo erano convinti che una reale difesa sulle Alpi non
fosse possibile e che un eventuale invasore dovesse essere fermato e
ricacciato solo nella pianura padana. L’ideatore del
Corpo degli Alpini, il quale corpo doveva avere specifica conoscenza del
terreno montano per assolvere il compito della difesa dei valichi alpini
della nostra frontiera, fu l’allora capitano di Stato Maggiore Giuseppe
Domenico Perrucchetti, nato a Cassano d’Adda, in provincia di Milano il
13 luglio 1839 (a venti anni fuggì dalla Lombardia, allora sotto la
dominazione austriaca, per arruolarsi volontario nell’esercito
Piemontese). Studioso di
storia, volontario alla Seconda Guerra d’Indipendenza e a quella del
1866, ove si guadagnò una medaglia d’argento, il Perrucchetti conosceva
i fasti delle milizie montanare che, fin dai tempi di Roma imperiale, si
erano formate sulle Alpi e le avevano difese dalle invasioni barbariche. Conosceva le
imprese dei Valdesi, il perfetto organismo delle milizie paesane create
da Emanuele Filiberto, quelle dei “Cacciatori delle Alpi” delle campagne
del nostro Risorgimento e le famose imprese dei Volontari Cadorini di
Pier Fortunato Calvi.
Prendendo lo
spunto da quella concezione strategica, nel 1871 il geniale Ufficiale,
appassionato di montagna e acuto studioso di operazioni militari in zone
alpine, redasse una originale memoria nella quale sosteneva e dimostrava
il concetto che la difesa di primo tempo (copertura) del confine alpino
dovesse essere affidata a presidi di soldati nati in montagna, pratici
dei posti sin dalla prima giovinezza e sicuramente ben motivati nel caso
dovessero difendere la propria casa. Un altro elemento fondamentale su
cui il Perrucchetti fondava il suo studio erano i vantaggi, ai fini
della celerità e della semplicità di mobilitazione, che il reclutamento
regionale presentava. Lo studio del
Perrucchetti, pubblicato sulla Rivista Militare Italiana, fu apprezzato
e subito acquisito dal generale novarese Cesare Ricotti Magnani,
Ministro della Guerra e brillante ufficiale di artiglieria dell’esercito
piemontese, impegnato in quel momento a ristrutturare l’esercito sul
modello dell’esercito di leva Prussiano (l’esercito Prussiano si fondava
sulla ferma breve e sul reclutamento regionale). Tenendo conto
delle risorse del Paese, della classe politica che voleva dimostrare che
l’Italia poteva diventare una potenza europea e della rapida evoluzione
della situazione internazionale, il generale Ricotti, diede vita a una
struttura militare capace di valorizzare e inquadrare tutte le forze
espresse dalla nuova realtà nazionale. Vale la pena
evidenziare che Cesare Ricotti Magnani fu l’uomo che, in pochi anni,
trasformò radicalmente l’organismo militare italiano attuando una
profonda ristrutturazione dell’Esercito. Per avere una Nazione a livello
europeo egli introdusse il sistema prussiano con la ferma breve e il
reclutamento nazionale e non regionale come attuato in Prussia.
Il giovane
ministro, per evitare l’ostacolo della Camera (che non vedeva di buon
occhio nuovi oneri finanziari), ricorse ad un espediente: inserì negli
allegati del Regio Decreto n°1056, che sanciva un riordinamento dei
Distretti Militari, la costituzione di 15 nuove compagnie distrettuali
permanenti, con il nome di “Compagnie Alpine” (per un totale di 2000
uomini), da dislocare in zone di montagna. A ciascuna compagnia venne
assegnato un mulo con una carretta per il trasporto dei viveri e dei
materiali. Come arma individuale agli alpini venne dato in dotazione il
fucile Wetterli modello 1870 (dal nome dell’inventore, un meccanico
svizzero). Così nacquero gli
“Alpini”, camuffati da distrettuali, fra le pieghe di un Decreto Regio,
ma con già sulle spalle un fardello di compiti e responsabilità pesanti
quanto il loro zaino di allora e di sempre. Il privilegio di
costituire i primi reparti alpini toccò alla classe del 1852, ovviamente
denominata “classe di ferro”.Esse avevano la seguente dislocazione: 1a
compagnia a Borgo S. Dalmazzo; 2a compagnia a Demonte; 3a
compagnia a Venasca; 4a compagnia a Luserna S. Giovanni; 5a
compagnia a Fenestrelle; 6a compagnia a Oulx; 7a
compagnia a Susa; 8a compagnia ad Aosta; 9a
compagnia a Bardonecchia; 10a compagnia a Domodossola; 11a
compagnia a Chiavenna; 12a compagnia a Sondrio; 13a
compagnia a Edolo; 14a compagnia a Pieve di Cadore; 15a
compagnia a Tolmezzo. A queste truppe
speciali fu posto sul capo un cappello di feltro nero a bombetta, con
una stella di metallo a cinque punte e coccarda tricolore, ornato con
una penna di corvo, il quale divenne subito l’emblema araldico dei
soldati della montagna.
Nel giro di
qualche anno le 15 compagnie diventarono 36 ed i battaglioni dieci. Ad
ogni battaglione venne assegnata una doppia sede, una estiva (dal 1°
maggio ai primi di novembre) e un’altra invernale. Nel 1882, a dieci
anni dalla costituzione del Corpo, per esigenze operative si
costituirono i primi sei reggimenti: il 1°, il 2°, il 3°, il 4°, il 5°e
il 6°. Il cappello alpino subì altre modifiche: il fregio a stella fu
sostituito con un fregio di metallo bianco raffigurante un’aquila ad ali
spiegate sormontata da una corona reale: appoggiata su una cornetta
sovrapposta a due fucili incrociati e contornata da una scure e una
picozza, con rami di quercia e di alloro, essa rappresentava il simbolo
di potenza e audacia del Corpo degli Alpini; sul tondino del fregio
venne applicato il numero del reggimento e sul cappello della truppa le
nappine mutavano di colore a seconda dei battaglioni e cioè bianco (1°
battaglione), scarlatto (2° battaglione), verde (3° battaglione),
turchino (4° battaglione). Per identificare gli ufficiali superiori si
stabilì di guarnire il cappello con una penna bianca. Alle truppe di
montagna vennero date le “Fiamme Verdi” a due punte e si incominciò a
distinguere fra la fanteria alpina e l’artiglieria da montagna. Anche il
cappotto con lunghe falde, molto ingombrante, venne sostituito con una
mantellina alla bersagliera di colore turchino scuro mentre le scarpe
basse furono sostituite da stivaletti alti con legacci simili a quelli
usati dai montanari.
I reparti alpini,
in considerazione del valore strategico dell’arco alpino, furono
potenziati mediante una serie di provvedimenti di carattere ordinativo:
-
nel
1877 venivano costituite le prime 5 batterie da montagna, destinate ad
accompagnare con il fuoco le imprese degli alpini;
-
nel
1887 i reggimenti diventarono 7, i battaglioni 22 e le compagnie 75; il
fucile “Wetterli 1870” venne trasformato in un’arma a ripetizione
ordinaria; il nuovo modello prese il nome di “Fucile modello 70/87
Wetterli – Vitali” dal nome del capitano di artiglieria che modificò il
vecchio modello;
-
sempre nel 1877 nasce in Torino il primo reggimento di artiglieria da
montagna su 9 batterie; l’armamento di base è costituito dal pezzo da 75
millimetri di calibro;
-
nel
1888 i muli furono aumentati da uno a otto per compagnia.
-
nel
1891 il fucile Wetterli – Vitali venne sostituito dal fucile modello ’91
che rimarrà in dotazione agli alpini fino alla fine della Seconda Guerra
Mondiale.
Nati per
combattere sui ghiacciai e sulle alte vette delle Alpi, gli alpini per
uno dei tanti e curiosi scherzi della storia, ebbero il “battesimo del
fuoco” sulle roventi ambe africane, nelle campagne di Eritrea del 1887 e
del 1896, ove mostrarono il loro valore e le loro qualità di fieri
soldati nella sfortunata battaglia di Adua del 1° marzo 1896, sull’Amba
Rajo, ove il 1° Battaglione Alpini d’Africa, comandato dal tenente
colonnello Davide Menini, si immolò sul posto. In quella tragica
giornata, oltre al comandante di battaglione, caddero alla testa dei
reparti il capitano Pietro Cella, prima medaglia d’oro al valore
militare degli alpini e quattro valorosi ufficiali di artiglieria da
montagna anch’essi decorati con la medaglia d’oro al valore militare per
l’eroico comportamento tenuto di fronte alle aggressive forze abissine. Molteplici furono
le innovazioni e i mutamenti adottati all’equipaggiamento e alle armi
agli inizi del ventesimo secolo. Da non dimenticare il novembre del
1902, data importante per la Specialità; dopo un periodo di intense
prove effettuate presso il 3° Reggimento Alpini, viene dato in dotazione
ai reparti il nuovo e veloce mezzo di locomozione su neve: gli sci, che
permisero di risolvere il problema del movimento sui terreni innevati.
Vale la pena di
ricordare gli esperimenti effettuati dal Battaglione Alpini Morbegno del
5° Reggimento Alpini, nel luglio del 1905, per l’adozione di una
uniforme di colore grigio per mimetizzare maggiormente i combattenti. La nuova uniforme
fu esperimentata da un plotone della 45a compagnia,
denominato il “Plotone grigio” e, dopo il felice esito delle prove
effettuate con il resto del battaglione, nel 1908 fu adottata da tutte
le armi dell’Esercito. Anche quando
chiamati ad operare fuori dall’ambiente montano, gli Alpini hanno sempre
dimostrato le loro qualità umane e professionali: la lealtà, il senso
del dovere, l’alto spirito di disciplina, il culto della generosità, il
rispetto dell’impegno assunto facendolo bene sino in fondo. In Africa
orientale, in Libia, sulle Alpi, nella penisola Balcanica, nella gelida
steppa di Russia, durante la Guerra di Liberazione e la Resistenza, nei
Lager nazisti e di Stalin, gli Alpini hanno offerto una lunga
testimonianza di eroico valore, di esemplare spirito di corpo e di
profonda fede nelle patrie istituzioni, dimostrando anche nei momenti
più drammatici, tempra montanara, grande dignità, spirito di solidarietà
umana, rispetto per i più deboli.
Alla Prima Guerra
Mondiale gli Alpini parteciparono con 88 battaglioni e 66 gruppi di
artiglieria da montagna per un totale di 240.000 alpini mobilitati. Quarantuno mesi di
lotta durissima e sanguinosa costituirono per gli Alpini un’epopea di
episodi collettivi ed individuali di altissimo valore e di indomita
resistenza, di battaglie di uomini contro uomini, di uomini contro le
forze della natura, di azioni cruente e ardimentose sulle alte vette
dalle enormi pareti verticali, di miracoli di adattamento alle
condizioni più avverse e nelle zone alpinisticamente impossibili. Le operazioni
belliche condotte sulla fronte alpina furono uno straordinario banco di
prova dell’ingegno e dell’audacia dei comandanti e dell’altissimo valore
personale dei singoli alpini e misero in evidenza uno spirito di
adattamento dell’uomo sino allora impensabile. Alla metà di
giugno del 1915 gli Alpini effettuarono la prima leggendaria impresa, la
conquista del Monte Nero, davanti alla quale anche i nostri avversari
così si espressero: “Giù il cappello davanti gli alpini ! questo è stato
un colpo da maestro”. Dal Monte Adamello
al Monte Nero, dalle Tofane al Carso, dalla Marmolada al Monte Ortigara,
dallo Stelvio al Monte Grappa, dal Monte Pasubio al Passo della
Sentinella, aggrappati alla roccia con le mani e con le unghie per
lottare contro il potente nemico, costruirono con mezzi rudimentali
strade e sentieri fino sulle cengie più ardite, combatterono memorabili
battaglie di mine e contromine, portarono a termine brillantissimi colpi
di mano espugnando posizioni ritenute imprendibili e aggiunsero alle
fantastiche leggende delle Dolomiti storie di giganti della lotta in
montagna.
Il contributo
dato dagli Alpini nella Grande Guerra è ampiamente evidenziato dalle
seguenti cifre: ufficiali, sottufficiali e alpini morti 24.876, feriti
76.670, dispersi 18.305. 38.181 “Penne
Mozze” cadute nell’adempimento del Dovere, falciate dal piombo nemico,
travolti dalle valanghe, strappati dalle insidie della guerra o dalle
avversità della montagna. Uno scrittore
inglese, Rudyard Kipling, venuto in visita alla fronte italiana nel
corso della Prima Guerra Mondiale, espresse questo giudizio sugli
alpini: “Alpini, forse la più fiera, la più tenace fra le specialità
impegnate su ogni fronte di guerra. Combattono con pena e fatica fra le
grandi Dolomiti, fra rocce e boschi, di giorno un mondo splendente di
sole e di neve, la notte un gelo di stelle. Nelle loro solitarie
posizioni, all’avanguardia di disperate battaglie contro un nemico che
sta sopra di loro, più ricco di artiglieria, le loro imprese sono frutto
soltanto di coraggio e di gesti individuali. Grandi bevitori, lesti di
lingua e di mano, orgogliosi di sé e del loro Corpo, vivono rozzamente
e muoiono eroicamente”.
Durante il Secondo
Conflitto Mondiale gli Alpini furono presenti su quattro fronti di
guerra assai diversi per caratteristiche morfologiche e strategiche:
sulle Alpi Occidentali (dal 10 al 25 giugno), in Grecia (dal 28 ottobre
1940 al 23 aprile 1941), in Jugoslavia (dal luglio 1941 al settembre
1943), in Russia ( dal gennaio 1942 al marzo 1943). Una storia, quella
degli Alpini, fatta con il sangue lungo un itinerario costellato di
croci. In Russia, gli Alpini, in una marcia senza fine, sotto il
flagello del freddo ed i ripetuti violenti attacchi russi che non davano
tregua, affrontarono durissimi sacrifici e sofferenze che la nostra
mente oggi non riesce nemmeno a immaginare. Eroico fu il
comportamento degli Alpini che a Nikolajewka riuscirono a rompere
il cerchio di ferro e di fuoco dei soldati dell’Armata Rossa. Inferiori di mezzi
di equipaggiamento e di armamento, gli Alpini, grazie all’ineguagliabile
spirito di Corpo, all’attaccamento alla loro terra, ai loro affetti,
alla generosità che anima tutti i figli della montagna, seppero soffrire
con dignità e onore, compiendo infiniti gesti di umanità e di
fratellanza verso tanti fratelli stremati dal gelo, dalle ferite, dalle
fatiche, dalla fame e dal nemico implacabile. Di essi, Don Carlo
Gnocchi – indimenticabile cappellano degli alpini in Russia-apostolo
della fede ed eroico sacerdote a fianco delle Penne Nere stremati in
ritirata, disse: “Tutti hanno compiuto opera veramente sovrumana. Dio
fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio. Sì, perché avevano
quella fede che li ha fatti diventare eroi; l’amore per la Patria e la
famiglia, fede che diventa sempre più grande quanto più il gelo di una
natura ostile, l’aggressione ossessionante di una terra nemica senza
orizzonti e senza mete si accanivano contro di loro e quando le forze
stavano per crollare, la visione dell’Italia, della famiglia lontana,
era per loro una luce che li rendeva decisi a raggiungerla. Solo uomini
che possiedono così forte questa fede possono aver fatto quello che
hanno fatto per cercare di uscire dal cancello dell’eternità”.
A conclusione
della tremenda odissea della campagna di Russia per gli alpini si può
ripetere la frase di Tacito: “Annoverarono la sfortuna tra le cose
dubbie, fra le certe il valore”. Oggi, nel luogo
dove oltre mezzo secolo fa si svolgeva una guerra sanguinosa e
terribile, sorge un bellissimo asilo che ospita 150 bambini
russi.L’Associazione Nazionale Alpini, per ricordare il sacrificio di
migliaia di Alpini rimasti per sempre in terra di Russia, animata da
una forte tensione morale e dalla volontà di legare i ricordi del
passato a un solidale impegno rivolto alle generazioni di oggi, ha
costruito a Rossosc (luogo in cui nel 1942 c’era la sede del Corpo
d’Armata Alpino) un meraviglioso asilo, in segno di solidarietà e di
fratellanza fra i popoli. Là dove 59 anni fa risuonavano terribili grida
di guerra oggi si elevano gioiosi canti di pace .Chi ha sofferto
nell’anima e nella carne, come moltissimi alpini, la violenza spietata
della guerra conosce l’immenso valore della pace, della solidarietà e
della giustizia. Subito dopo l’8
settembre anche gli Alpini vissero le tragiche sorti del resto
dell’Esercito Italiano lasciato senza ordini e alla mercé delle armate
tedesche. Nei successivi lunghi mesi di guerra gli alpini diedero vita a
numerose formazioni partigiane sia in Italia che all’estero tra cui la
Divisione “Garibaldi” costituita in Montenegro con gli alpini della
Divisione “Taurinense” e della Divisione di fanteria “Venezia” per
combattere a fianco dei partigiani Jugoslavi contro i tedeschi.
Al nord Mussolini,
sostenuto dai tedeschi, in settembre fondava la Repubblica Sociale
Italiana per continuare la guerra a fianco dei tedeschi. Fu costituito
il Battaglione Alpini Tagliamento con il compito di difendere i confini
orientali minacciati dai partigiani di Tito. Successivamente,
nell’aprile del 1944, la Repubblica di Salò costituì la Divisione
“Monterosa” che inquadrava il 1°, 2° e 4° Reggimento Alpini. Anche in
quei reparti numerosi furono gli atti di valore compiuti in nome di un
ideale. Nel Sud
dell’Italia il contributo delle Penne Nere alla Guerra di Liberazione si
concretizzò con la partecipazione dei battaglioni alpini “Piemonte”,
“L’Aquila” e “Monte Granero” a fianco delle unità anglo – americane. Durante la
campagna per la liberazione d’Italia numerosi furono gli episodi di
valore e lo spirito combattivo fu talmente elevato che si imposero
all’ammirazione degli alti comandi alleati. Da non dimenticare la
conquista di Monte Marrone, Montelungo, Colle delle Mainarde,
Filottrano, Valle Idice e Bologna. Dopo la tempesta
della guerra, con la ricostituzione dell’Esercito, vennero ripristinate,
nell’arco di otto anni, cinque Brigate Alpine: Julia, Tridentina,
Cadore, Orobica e Taurinense, formate su un reggimento alpini, un
reggimento artiglieria da montagna e supporti tattici e logistici. Uomini fieri ed
infaticabili, uomini ricchi di fede, temprati dalla lotta con la
natura, dotati di un luminoso patrimonio spirituale ereditato dai propri
padri, gli Alpini hanno portato sempre intatto nella parentesi del
servizio militare, queste preziose qualità civiche ed umane,
indispensabili per chi deve assicurare la difesa della Patria. Non c’è
pagina di storia militare italiana dall’ultimo ventennio del secolo
diciannovesimo ad oggi che non ha visto in prima fila gli Alpini: ne
fanno fede le 210 medaglie d’oro al Valore Militare, le 3 medaglie d’oro
al Valore Civile e una medaglia d’oro al Merito Civile che fregiano il
glorioso Labaro nazionale dell’Associazione Nazionale Alpini e che
racchiude e sintetizza la prestigiosa storia del Corpo degli Alpini.
Se onnipresente e
massiccia – con migliaia di Caduti e feriti – fu la presenza delle
Truppe Alpine su tutti i fronti di guerra, non dobbiamo dimenticare che
gli alpini in armi ed in congedo dell’ Associazione Nazionale Alpini
sono stati e sono sempre presenti ovunque la solidarietà umana richiede
impegno, aiuto morale e materiale. Senso di
solidarietà che è innato nella gente di montagna, che consiste
nell’offrire la propria disponibilità verso gli altri senza interesse e
a profonderla con generosità specie verso i più bisognosi. Gli esempi
in tal senso sono innumerevoli e pressoché quotidiani. L’Associazione
Nazionale Alpini non è solo costituita da uomini che amano radunarsi per
sfilare con il cappello alpino in ricordo ed in onore delle generazioni
del passato; essa è oggi più che mai un organismo vivo ed operante
nella realtà quotidiana del nostro Paese con il fine di insegnare ai
giovani l’amore verso il prossimo e l’amore verso la Patria. Fedele all’impegno
di onorare i caduti aiutando i vivi, l’Associazione con i suoi
340.000 iscritti, ed i suoi Gruppi della Protezione Civile che si
estendono su tutto il territorio (oltre 13000 volontari, organizzati in
70 nuclei operativi) interviene in massa volontariamente in soccorso
delle popolazioni civili colpite da calamità naturali e in occasione di
emergenze pericolose, senza limiti di tempo e di spazio. In caso di
emergenza, nel giro di poche ore, sono in grado di raggiungere le
località più diverse in Italia e all’estero. Mi è impossibile ricordare
tutto questo grande patrimonio di solidarietà e di generosità che si
traduce ogni giorno in varie attività di volontariato, di pronto
intervento, di assistenza, di soccorso morale e materiale.
Nell’Associazione
operano i Gruppi di “Donatori di sangue”, di “Donatori di organi”, le
Squadre di “Soccorso alpino”, le “Squadre ecologiche”, le “Squadre
specializzate al restauro” di chiesette, rifugi alpini, monumenti,
strade di montagna e molte altre attività di pubblica utilità. Fra le
molte iniziative desidero citarne alcune che si possono a buona ragione
definire le più importanti :
-
la
costruzione del Centro rieducazione handicappati di Endine Gaiano nel
bergamasco;
-
costruzione della “Casa di pronta accoglienza” a Cinisello Balsamo,
edificata dalla Sezione A.N.A. di Milano e che consente di accogliere e
di assistere in modo idoneo chi chiede aiuto quando non ha un posto per
dormire e un tavolo per mangiare;
-
la
costruzione della “Baita Don Onorio” di Trento, costruita dagli alpini
trentini per ospitare famiglie in condizioni precarie;
-
la
costruzione della “Scuola Nikolajewka” di mestieri per spastici e
miodistrofici di Brescia, inaugurata nel gennaio 1984;
-
la
costruzione del Centro di assistenza per bambini handicappati di Padova
“Il fienile” costruito dagli alpini di Padova con fini ricreativi e di
accoglienza;
-
la
costruzione del Centro polifunzionale per handicappati di Dalmine,
capace di ricevere 120 persone bisognose di cure;
-
il
Centro handicappati di Casale Monferrato, costruito dagli alpini della
Sezione A.N.A. di Casale finalizzato per attività di tipo psicomotorio;
-
la
costruzione delle Case “Natale 1” e “Natale 2” ad Aviano, destinate
all’accoglienza dei malati terminali provenienti da tutta Italia e per
dare alloggio ai parenti dei malati di tumore ricoverati presso il
centro oncologico di Aviano;
-
l’ospedale da campo aviotrasportabile della Protezione Civile
dell’Associazione Nazionale Alpini , una struttura mobile, predisposta
da tempo con eccellenti equipe di medici, paramedici e personale tecnico
completamente autosufficiente e in grado di intervenire in qualsiasi
condizione di tempo e di luogo.
Si tratta,
quest’ultima, di una compagine ormai da tempo consolidata e
riconosciuta dal Dipartimento della Protezione Civile. Nell’aprile del
1999, in pieno conflitto balcanico, è stata inviata a Kukes e a Valona
una grossa aliquota della Protezione Civile dell’A.N.A. ad erigere campi
profughi per i kosovari e per dare loro assistenza sanitaria. Sono tante piccole
luci che da molti anni si accendono per aiutare il nostro prossimo che
si trova in difficoltà o nel dolore. Ultimamente , per
vincere l’odio, l’Associazione Nazionale Alpini ha ricostruito una
scuola in Bosnia, a Zenica (a 60 chilometri da Sarajevo), un complesso
che ospita ottocento fra studenti e scolari delle scuole elementari
delle tre etnie. Si tratta di un lavoro significativo e importante
tendente a migliorare i rapporti umani fra le varie etnie, progetto
che punta sui giovani e che si prefigge di sconfiggere l’odio e le
ingiustizie fra gli uomini. Non esiste
differenza, sotto l’aspetto della disponibilità al sacrificio e della
solidarietà umana, fra gli Alpini in armi e gli Alpini in congedo,
fratelli in nobile slancio di altruismo ogniqualvolta la posta è il
salvataggio di vite umane o l’aiuto tangibile ed immediato a persone che
si trovano in stato di sofferenza.Slancio più volte dimostrato nelle
attività di soccorso in occasione dei disastri o calamità naturali che
tanto sovente colpiscono il nostro Paese. E non a caso la
prima decorazione, in assoluto, al Valore ad un reparto alpino venne
concessa non per un atto di guerra ma bensì per un atto di solidarietà
umana nei confronti della popolazione civile. La meritò il Battaglione
Alpini “Val Stura” del 2° Reggimento Alpini, che la notte del 19 agosto
1883, accorse tempestivamente a spegnere un furioso incendio
sviluppatosi nell’abitato di Bersezio (Provincia di Cuneo).
Dal primo
intervento degli Alpini effettuato nel luglio 1873 dalla 14a
Compagnia Alpina di Pieve di Cadore a favore della popolazione di Alpago
(Belluno), colpita dal terremoto, le “Penne Nere” hanno sempre operato
con grande tempestività, elevata efficienza operativa con magistrale
competenza negli interventi, riscuotendo l’apprezzamento e
l’ammirazione incondizionata della popolazione e delle autorità
civili e religiose. Questa presenza nei momenti drammatici
dell’emergenza, questa vicinanza degli alpini alle popolazioni colpite
da eventi calamitosi è un unico filo conduttore che, da quel lontano
1873, porta fino ai giorni nostri. Dal primo soccorso
ad oggi migliaia sono stati gli interventi di carattere umanitario a
favore dei disastrati e dei più deboli. Ricordo il
terremoto in Calabria nel settembre del 1905, il violentissimo terremoto
di Messina del 1908, il disastro per il crollo della diga del Gleno nel
1923, la catastrofe del Vajont nell’autunno del 1963 che distrusse
interi paesi, la devastante alluvione del novembre 1966 nell’Italia
settentrionale; e ancora il terremoto del Friuli nel 1976 e dell’Irpinia
nel 1980 e, in tempi più recenti, la frana di Stava nel 1985,
l’alluvione della Valtellina nell’estate del 1987, il terremoto in
Armenia nel 1988, l’alluvione in Piemonte nel novembre 1994, nel 1997
il terremoto in Umbria e Marche e nell’ottobre del 2000 la drammatica
alluvione in Piemonte e Val d’Aosta che sconvolse intere vallate. Oggi
le truppe alpine, rinnovate nella struttura e nei ruoli da svolgere,
sono uno strumento non solo al servizio del nostro Paese ma anche, e
soprattutto, a sostegno della politica estera. L’era degli interventi
umanitari e di mantenimento della pace (peace-keeping), oltre i confini
nazionali si è aperta nei primi anni novanta con l’intervento in
Kurdistan, ma ha registrato un rilevante e qualificante impegno in
Mozambico nel 1993-94, devastato da 16 anni di guerra civile, dove gli
alpini hanno svolto una difficile missione di pacificazione a rischio
della loro vita. Gli alpini delle Brigate “Julia” e “Taurinense” e i
paracadutisti della compagnia alpini “Monte Cervino,” inviati oltremare
per conto dell’ONU, operarono con grande successo contribuendo a
spegnere i focolai di conflittualità interni. Da allora le Penne Nere
hanno partecipato a numerose missioni di pace fra le quali è doveroso
ricordare le operazioni in Albania nel 1991, l’intervento in
Bosnia-Erzegovina dominata da laceranti contrasti etnici - religiosi che
affondano le radici nella storia e, recentemente, il poderoso soccorso
umanitario in Albania, in Macedonia e nel Kosovo, in fraterna
collaborazione con altri reparti delle forze armate italiane in aiuto
dei profughi Kosovari, scacciati con violenza dalla loro terra. Si
tratta di un impegno ad alto rischio e sempre oneroso che gli “alpini
con le stellette” hanno affrontato con assoluta dignità di comportamenti
per assicurare in quella regione colpita da anni di contrasti e odii
religiosi la convivenza pacifica, la giustizia e la pace. Rilevanti il
numero delle missioni all’estero nell’anno 2001 per un totale di 10.500
uomini impiegati nei Balcani.
Con i “Veci”,
reduci della seconda guerra mondiale, si trovano a lottare fianco a
fianco i giovani “Bocia” insieme agli alpini in armi dove impegnano ogni
energia fisica e morale per offrire tutto l’aiuto possibile nella
difficile opera di soccorso. Significativa la partecipazione degli
alpini, in concorso con le Forze di Polizia, per il controllo del
territorio in Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania, contributi molto
validi per dare più sicurezza a quelle popolazioni fortemente
condizionate dalla malavita organizzata. Prima di terminare
questa mia breve esposizione desidero darvi alcuni cenni sulla nuova
configurazione delle Truppe alpine. Da qualche anno l’esercito italiano,
unitamente alle altre nazioni dell’alleanza atlantica, ha iniziato con
decisione una fase di profonda evoluzione e modernizzazione, senza però
trascurare quella che è la realtà oggettiva nella quale è inserito
l’esercito nel contesto nazionale. I fattori che
hanno concorso a imprimere la trasformazione sono molteplici e
comprendono fattori interni al Paese ed elementi di politica e sicurezza
internazionale. Tra i fattori meritevoli di essere ricordati per la loro
notevole importanza sono il processo ormai in atto di trasformazione
dell’ “esercito di popolo” – idea che ha accompagnato il Paese durante
l’intero processo di unificazione nazionale e fino ai giorni nostri – in
“esercito per il popolo” e, altro fattore decisivo, la partecipazione
alla costruzione dell’esercito europeo.
Con il nuovo
processo di radicale trasformazione si passerà, in tempi abbastanza
ristretti, da un esercito fondato sulla coscrizione obbligatoria ad un
altro misto per poi passare, nel giro di tre anni, ad un esercito
interamente professionale. Le caratteristiche fondamentali della riforma
prevedono unità costituite da personale maschile e femminile su base
volontaria annuale e permanente. L’esercito per il
popolo dovrà assolvere il duplice ruolo di provvedere alla difesa e
sicurezza in armi della collettività nazionale e di contribuire alla
creazione di un complesso di forze da destinare per la difesa
dell’Europa unita. Uno strumento non solo nazionale ma un esercito anche
per l’Europa. Il modello
professionale, una volta realizzato, avrà una forza di 112.000 uomini.
Sono dell’avviso che con forze così ridotte sarà molto difficile
rispettare tutti gli impegni internazionali e nello stesso tempo
garantire, con le scarse risorse disponibili, una efficace capacità di
difesa del nostro Paese. Alla luce di
quanto sopra detto anche le Truppe Alpine come, peraltro, gli altri
corpi dell’esercito hanno dovuto adattarsi ai rapidi mutamenti adeguando
la loro struttura al nuovo contesto nazionale e internazionale. Ricordo che per le
Truppe Alpine il processo di ristrutturazione ebbe inizio già nel 1991
con lo scioglimento della Brigata alpina Orobica, nel 1997 con lo
scioglimento della Brigata Alpina Cadore e recentemente della Brigata
Tridentina. Molte gloriose Bandiere di guerra, irte di medaglie al
valore militare e civile, sono state ripiegate e relegate a Roma presso
il Vittoriano.
Così le Brigate
Alpine da cinque, nel giro di pochi anni, sono scese a due. Attualmente
gli alpini in forza al Comando Truppe Alpine ammontano a circa 12.000
uomini. Oltre alle due
Brigate, il Comando Truppe Alpine, erede del glorioso 4° Corpo d’Armata
alpino e discendente dal 4° Grande Comando Militare con sede a Bologna,
ha alle sue dipendenze varie unità di supporto: un battaglione alpini
paracadutisti, il “Monte Cervino”, un reggimento di artiglieria alpina,
un reggimento di aviazione leggera dell’esercito, un reggimento
logistico di manovra, il 6° e l’11° Reggimento Alpini (ceduti dalla
Brigata Alpina Tridentina in previsione dello scioglimento della stessa)
e il 16° e 18° Battaglione Addestramento Reclute. Ciascuna brigata
alpina è costituita su: un Comando e Supporti tattici; tre reggimenti
alpini (dal 1° luglio la Julia ha in forza il 5° Reggimento Alpini già
facente parte della Tridentina); un reggimento artiglieria da montagna;
un battaglione logistico; un reparto di sanità quadro (quello della
Brigata Taurinense è operativo). Oltre ai succitati
reparti il Comando Truppe Alpine ha alle sue dirette dipendenze il
Centro Addestramento Alpino (già Scuola Militare Alpina di Aosta) con il
quale opera in perfetta collaborazione per elevare la “specializzazione”
dei propri uomini e reparti con il fine di esaltare le capacità
operative e di sopravvivenza in montagna. Oggi il Centro
Addestramento Alpino opera con lo stile, l’entusiasmo e l’impegno dei
suoi mitici fondatori, consapevole che per meritarsi l’appellativo di
“Università degli Alpini” deve saper penetrare il pianeta montagna con
immutata volontà e amore. La Brigata Alpina
Taurinense, dislocata per grande parte in Piemonte, è tutta su base
volontaria per assicurare compiti operativi all’estero nell’ambito di
missioni multinazionali; la Julia, prevalentemente su personale di leva,
è in grado di assicurare compiti di difesa nazionale e di cooperazione
in attività di partneriato per la pace (partnership for peace).
La Taurinense è
articolata su tre reggimenti alpini (il 2° a Cuneo, il 3° a Pinerolo, il
9° a L’Aquila) ed un reggimento artiglieria da montagna, il 1°
Reggimento armato con 24 obici da 105/14 e una batteria contraerea di
missili Stinger. Nell’ambito della
Brigata Taurinense è inquadrato il contingente italiano della forza
mobile di ACE (AMF/L), denominato “Cuneense” (costituito dal Gruppo
Tattico Susa con unità di fanteria alpina, artiglieria da montagna,
genio guastatori, trasmissioni e unità elicotteri), da un reparto
aviotrasportabile e da un nucleo di supporto logistico, per un totale di
2000 uomini. Il contingente
“Cuneense” partecipa dal 1963 alle esercitazioni NATO che si svolgono
nelle aree addestrative in Italia, in Norvegia, in Danimarca e in
Turchia. Fa parte delle
forze di proiezione ovvero di quelle forze destinate ad operare
all’estero in contesti multinazionali e interforze. La Brigata negli
ultimi anni ha operato con le altre forze della NATO e dell’Unione
Europea in Bosnia, in Albania e nel Kosovo. La Brigata Alpina
Julia, erede della leggendaria Divisione Alpina Julia, con reparti
dislocati in Friuli, nel Cadore e nel Trentino-Alto Adige, è la unità
leader della forza multinazionale italo–sloveno–ungherese
(MLF–Multinazional Land Force) e nel prossimo futuro è destinata a
pilotare interventi all’estero. L’area geografica d’impiego della MLF
include l’Europa centro-orientale e sud-orientale, in teatri operativi
caratterizzati da terreno accidentato, disagevole o con scarsa mobilità
terrestre. Essa è articolata
su quattro reggimenti alpini, il 5° a Vipiteno, il 7° a Feltre, l’8° a
Cividale e il 14° a Venzone, un reggimento di artiglieria da montagna,
il 3° con sede a Tolmezzo e il 2° reggimento genio guastatori alpino, di
sede a Trento. La Julia è una
grande unità alpina capace di assolvere al meglio i numerosi compiti
assegnatili sia in ambito nazionale che internazionale quale Brigata
“framework” (comando operativo con personale internazionale) della
Multinazional Land Force. In tale contesto la Brigata ha partecipato dal
2 aprile al 2 agosto 2001 alla missione NATO “JOINT GUARDIAN KFOR – 5”
in Albania dove ha assunto il comando della Communication Zone (West).
Attualmente la
Brigata è alimentata con personale di leva in grado di partecipare alla
difesa del nostro territorio e di fornire interventi qualificati e
immediati in caso di calamità naturali. Ritengo doveroso
dare alcune notizie sulla Brigata Alpina Tridentina di fatto disciolta
il 1° luglio 2002. La Tridentina che custodiva il ricordo e le
tradizioni della gloriosa Divisione Alpina Tridentina, era dislocata in
Alto Adige. Possedeva una spiccata particolarità alpina che le conferiva
la possibilità di poter vivere e combattere in alta montagna e in
terreni di difficile percorribilità. Flessibilità,
bivalenza, autonomia tattico – logistica, leggerezza, erano i fattori
che davano alla brigata una comprovata ed elevata capacità operativa.
Era costituita da tre reggimenti alpini ( il 5° a Vipiteno, il 6° a S.
Candido e l’11° a Brunico), dal Battaglione Alpini Edolo con sede a
Merano e dal Battaglione Logistico Tridentina di sede a Bressanone. Il
Comando Brigata aveva la sua sede a Bressanone nella caserma generale
Luigi Reverberi, medaglia d’oro al valore militare. Lo stato maggiore
dell’esercito ha dichiarato che il Comando Tridentina non scomparirà ma
verrà trasformato, entro la fine dell’anno in corso, in “Comando
Divisione Tridentina” e avrà la sua sede fra Bolzano e Bressanone.
Inoltre nell’area compresa fra Brunico-San Candido-Corvara, il Comando
6° Reggimento Alpini, gestirà una vasta area addestrativa che verrà
utilizzata permanentemente per l’addestramento alpinistico dei reparti
alpini e di altre specialità dell’esercito italiano e della Nato. Con la radicale
trasformazione dell’esercito, che si concluderà nel 2006 (il ministro
Martino ha espresso l’intenzione di anticipare la ristrutturazione al 1°
gennaio 2005) con l’abolizione totale della leva a favore di un esercito
interamente professionale e volontario, gli alpini, dopo 130 anni di
storia gloriosa, corrono il rischio di perdere le loro caratteristiche
principali – ossia “l’alpinità” – che nasce dal modo di vivere
essenziale, sin dalla più tenera età, in contatto diretto con la natura,
negli antichi borghi o negli sperduti abitati di alta montagna, dove,
per vivere, i valligiani devono affrontare ogni giorno fatiche e disagi.
In quell’ambiente
spesso viene messo a dura prova la saldezza fisica e morale del
montanaro: la neve, l’asprezza delle forme, la distanza dai centri
abitati, la scarsità delle risorse, moltiplicano le difficoltà. A
differenza del cittadino, che chiamato sotto le armi deve ambientarsi e
acclimatarsi, l’alpino è già temprato alle fatiche e alle prove più
ardue. Riferendosi
all’uomo alpino così si esprimeva l’indimenticabile Aldo Rasero nel suo
bellissimo libro “Tridentina Avanti!”: “L’alpino sa che ha l’onore di
appartenere ad una Specialità dell’esercito dove il coraggio è norma di
vita, dove il sacrificio è una dura necessità accettata con fierezza,
dove l’eroismo e leggenda fanno a gara nel tramandare la storia delle
“penne nere”. Con l’abolizione
del criterio di reclutamento regionale che, come è noto, fu alla base
della costituzione delle Truppe Alpine e che rappresenta ancora oggi un
elemento di forza della Specialità, si teme che in futuro non sarà più
possibile avere reparti con un alto contenuto spirituale, fortemente
motivati e ricchi di quella antica cultura montanara che ha felicemente
concorso a dare l’impronta all’uomo “alpino”, a farlo crescere forte,
libero, tenace e solidale verso il prossimo. Non dobbiamo
dimenticare che la leva, per oltre 140 anni, ha svolto per il nostro
Paese un significativo ruolo di unificazione nazionale e di progresso:
ha educato milioni di giovani alla vita, ha insegnato a parlare la
stessa lingua, ad affrontare sacrifici e fatiche, a prendere atto che
oltre ai diritti ci sono anche i doveri da adempiere, a comprendere cosa
vuol dire senso di responsabilità, senso dell’onore e amore di Patria. Enorme è stato il
contributo dato dalle Forze Armate alla comunità nazionale in termini di
educazione morale, culturale, fisica e sanitaria. Ritengo che
l’Associazione Nazionale Alpini (che svolge un ruolo insostituibile di
collegamento fra il personale in servizio e quello in congedo), nei
prossimi anni, dovrà impegnarsi duramente per convincere i giovani,
liberi dall’obbligo del servizio di leva, a prestare il servizio
militare nei reparti alpini come soldati “Volontari in ferma annuale”
(V.F.A.) o come “Volontari in servizio permanente” (V.S.P.). Le Sezioni
dell’Associazione delle “Penne nere”, dovranno svolgere una intensa
capillare opera di proselitismo presso quei giovani che gravitano
intorno all’ambiente alpino, per esempio i giovani iscritti al Club
Alpino Italiano, gli Scout e verso coloro che sono attratti dal fascino
della montagna, alfine di guadagnare spazi di consenso favorevoli verso
il volontariato annuale o permanente.
Mi auguro e spero
moltissimo che gli alti vertici militari, sostenuti dal ricordo di tutti
gli eroici Caduti che immolarono la vita per la Patria e dalla
consapevolezza di fare il bene e l’interesse della collettività
nazionale, seguano con la massima attenzione l’evolversi della riforma
dell’esercito e siano tempestivi nel cogliere ogni più piccolo segnale
discorde dagli obiettivi previsti relativi alle soluzioni adottate
specie per quanto riguarda gli alpini, un Corpo ricco di nobili
tradizioni, che in pace e in guerra ha sempre servito la Patria con
assoluta e religiosa fedeltà insieme ai valorosi fratelli delle altre
armi dell’esercito italiano. L’Associazione
Nazionale Alpini oggi più che mai deve diventare l’Alfiere di un
movimento che ripristini e rinnovi nei cittadini i valori che in essi si
sono affievoliti: valori di eticità, di solidarietà, di onestà, di
rispetto verso la bandiera nazionale e verso le Istituzioni della
Repubblica, di recupero delle virtù civili, militari, culturali e
religiose. Mi auguro
caldamente, e sono sicuro di interpretare anche la Vostra volontà, che
gli alpini del XXI° secolo, formati alla scuola del Dovere ed educati
all’amore per le montagne, affronteranno il nuovo processo di
cambiamento con il tradizionale senso di responsabilità, disciplina e
generosità, profondendo ogni energia spirituale e morale per superare
tutti gli ostacoli, sull’esempio di quanti hanno amato la nostra
Bandiera, onorando sempre e in ogni luogo la nostra Patria.
Le “Penne Nere”,
nonostante i rapidi processi di rinnovamento dell’Esercito e
l’abolizione della leva obbligatoria, che hanno determinato una notevole
riduzione dei reparti alpini, continuano ad essere alfieri di un
modello di vita semplice e pulito, instancabili nell’impegno di
salvaguardare e difendere i valori più edificanti dell’uomo e della
società, consapevoli che prima vengono i doveri e poi vengono i diritti.
Bologna, 11
ottobre 2002
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