Le responsabilità dell'invio delle
nostre truppe in Russia e la relativa gestione ricadono interamente sul
nostro capo del Governo di allora, il Duce, Benito Mussolini.
Egli dominava allora incontrastato le scelte politiche e militari
dell'Italia, pure il Re, Vittorio Emanuele III, l’unico al sopra di lui
istituzionalmente era succube delle sue decisioni e non si opponeva.
L'idea di un intervento dell'Italia fascista in terra di Russia, così
lontana geograficamente e non rientrante nella zona d’espansione di
nostro interesse, era una sua ossessione per poter partecipare insieme
alla Germania nazista alla sconfitta del comunismo. Erano quindi motivi
di natura ideologica, ma c’era pure il desiderio di non essere da meno
nella competizione con l’alleato germanico in vista dei nuovi equilibri
che sarebbero scaturiti dalla “immancabile vittoria”.
E’ utile una breve analisi della situazione allora in essere per
comprendere gli avvenimenti. Infatti, l’Italia era entrata in guerra in
fretta, impreparata nel giugno 1940. Negli anni precedenti non si era
provveduto ad ammodernare gli armamenti, mentre i tedeschi facevano
passi da gigante, forti della loro potenza industriale. In soli 6 anni
dalla sua ascesa al potere, Hitler aveva costruito il più potente
esercito di allora bruciando ogni tappa. Mussolini avrebbe avuto bisogno
di almeno altri due anni per avere un esercito efficiente, ma Hitler
aveva precorso i tempi e scoppiata la guerra a causa della sua
aggressione alla Polonia nel settembre 1939, dopo che la stessa era
stata spartita con la Russia di Stalin, stava vincendo su tutti i fronti
utilizzando una tattica militare nota col nome di guerra-lampo (Blitzkieg),
fatta di veloci avanzate con divisioni corazzate. Così il Duce dopo
pochi mesi di neutralità non resistette all’idea che il nostro paese
rimanesse escluso da un conflitto che sembrava ormai quasi risolto. Anzi
si paventava che la Germania avesse poi potuto rivolgere verso di noi le
proprie armi una volta vittoriosa sullo scenario europeo, per questo
pensò opportunisticamente di accodarsi al carro del vincitore per
goderne dei frutti calcolando di pagare solo un contributo simbolico.
Anche parecchi osservatori tra l’opinione pubblica, per la verità,
sostenevano questa tesi dopo che la Germania aveva liquidato in soli 40
giorni la Francia invadendo mezza Europa e apprestandosi a sbarcare
sulle coste della Gran Bretagna.
Mussolini negli anni precedenti si era
sempre più avvicinato ad Hitler per motivi di politica internazionale e
di ideologia nazionalistica. Riteneva, infatti, che l’Italia pur essendo
tra le potenze vincitrici della prima guerra mondiale avesse visto
disattese molte sue richieste al tavolo della pace di Versailles del
1919 e considerava ora queste, tra cui particolarmente l’Inghilterra che
aveva un grande impero coloniale e dominava i mari, i nuovi nemici
dell’espansionismo italiano. Le sanzioni comminate dalla Società delle
Nazioni, l’O.N.U. di allora dominato dall’Inghilterra, contro l’Italia a
causa della sua guerra coloniale contro l’Etiopia nel 1936 erano state
ritenute inique da Mussolini, che ne aveva fatto motivo di propaganda
vittimistica per ricompattare il consenso al regime. Ancor di più la
Germania aveva desideri revanscisti e mirava, oltre a riconquistare i
territori perduti ad oriente nella prima guerra mondiale, ad imporre il
suo dominio in Europa attuando programmi egemonici e pericolosamente
razzisti. Allora un concetto caro ad entrambi i dittatori era quello
dello “spazio vitale”, in tedesco “Lebensraum”, ossia grandi territori
come elemento indispensabile e “status symbol” di potenza, unitamente
anche a quello dell’accrescimento demografico che avrebbe dovuto in
seguito colonizzarli. Hitler specialmente estremizzò molto questi
concetti, intendeva anche porre al proprio servizio i popoli delle altre
razze considerate inferiori(Untermenschen, ossia sottouomini). Da lì
derivarono dapprima la persecuzione contro gli ebrei, di cui si seppe
solo in seguito l’orribile sterminio sistematico nei famigerati lager
(l’Olocausto) e nel corso della guerra contro la Russia poi ripetuti
atti di crudeltà verso quelle popolazioni. In un primo tempo parte dì
esse avevano considerato i tedeschi quasi come liberatori, specie erano
insofferenti del giogo comunista a cui erano stati ferocemente
sottoposti da Stalin, ma si dovettero ricredere presto e questo fu un
grave errore che costò parecchio agli occupanti in quanto si formarono
temibili formazioni partigiane nelle retrovie e si rinsaldò tra le fila
russe dei combattenti il concetto della “guerra patriottica” per
difendere il proprio suolo.
Hitler, dunque, dopo aver vinto in breve tempo la Francia, rimasto
padrone in Europa, invece di invadere anche l’Inghilterra come ci si
aspettava, si rivolse inaspettatamente nel dicembre 1940 contro la
Russia sovietica di Stalin, con una grande operazione denominata “Barbarossa”,
sia per ragioni ideologiche con lo scopo di liquidare l’epicentro del
comunismo internazionale bolscevico che mirava ad esportare nel mondo la
sua rivoluzione, sia soprattutto per conquistare quegli immensi
territori che potevano assicurare alla Germania preziose materie prime e
derrate alimentari, il che era un suo primario obiettivo strategico.
Stalin non si aspettava questo intervento e fino all’ultimo non volle
credere alle indiscrezioni che canali diplomatici ed i suoi servizi
segreti gli avevano fatto pervenire. Era impreparato alla guerra e il
suo stato maggiore militare era appena stato decimato da una delle sue
famose “purghe” dato che vedeva ovunque cospiratori contro di lui.
Riguardo al nostro intervento in
Russia, Hitler, che non aveva sollecitato questa nostra
compartecipazione forte dei suoi primi iniziali e folgoranti successi,
cedette infine alle reiterate richieste del Duce e così nel luglio 1941
fu inviato il primo contingente (il C.S.I.R.) forte di circa 59.000
uomini per lo più fanteria al comando del gen.Messe. Nel luglio del 1942
esso fu integrato sempre per volere di Mussolini, nell'A.R.M.I.R, un
nuovo più ragguardevole corpo di spedizione che portò il numero dei
nostri soldati a circa 230.000 a cui fu messo a capo il gen.Gariboldi.
In quest’occasione furono inviate anche le Divisioni Alpine Cuneense,
Tridentina e Julia. Questa volta Hitler gradì l’invio di nuove truppe
italiane, aveva bisogno di sostituire i propri reparti perché la
resistenza della Russia era stata sottostimata e la guerra non si
concludeva nei tempi da lui sperati. Infatti, aveva sottovalutato la
tenacia dei russi a difendere il proprio suolo e la sterminata
superficie da controllare. Da parte nostra presto si videro le
limitazioni e le difficoltà che incontravano le truppe scarsamente
mobili in quello scenario di guerra per la penuria d’automezzi e di
mezzi corazzati peraltro del tutto inadeguati rispetto a quelli del
nemico, mancava inoltre del tutto l’artiglieria controcarro semovente.
Il divario tecnologico dei nostri mezzi verso quelli dell’alleato
tedesco era evidente anche nell’armamento e nell’equipaggiamento
individuale (avevamo ancora il vecchio fucile del 1891) come poi fu
confermato nei combattimenti che seguirono. Mussolini s’illudeva di una
guerra facile e breve, l’importante per lui era partecipare con un
grande numero di uomini come fossero solo comparse. Aveva progettato
persino l’invio di un totale di 20 divisioni, per fortuna allora i
tedeschi lo fermarono. In quest’occasione, e non fu la sola, confermò
una grave mancanza di senso della realtà sottostimando i rischi, le
condizioni obsolete degli armamenti e lo scenario in cui si doveva
operare. Inoltre in fatto di strategia militare aveva già collezionato
insuccessi in Grecia-Albania e sui fronti africani ed aveva dovuto
ricorrere all’aiuto dell’alleato germanico.
Le nostre truppe in Russia sostennero i
primi combattimenti favorevolmente grazie al loro valore ma anche al
supporto dei mezzi di cui disponevano i tedeschi. Le divisioni alpine
giunsero successivamente nell'agosto del 1942. Era previsto inizialmente
il loro impiego sul fronte montuoso del Caucaso, ma poi furono spostate
lungo il più vasto fronte del fiume Don in Ucraina assieme alle altre
divisioni di fanteria per rimpiazzare altre unità tedesche suscitando
non poche rimostranze da parte di loro alti ufficiali sul posto che
vedevano bene quale era la realtà operativa. Esse erano ancor di più
inadatte in quei luoghi dato che gli alpini erano appiedati ed i muli di
cui erano unicamente dotati per i trasporti, ottimi per l’impiego in
montagna, erano lenti in quelle vaste pianure ove occorreva potersi
spostare velocemente. L'equipaggiamento individuale in fatto di
vestiario non era confacente ai quei climi e gli scarponi già mal
confezionati e non sostituiti da stivali più adatti alla neve,
rivelarono i loro limiti nel freddo inverno favorendo molti casi di
congelamento. L’organizzazione logistica inoltre era fragile ed i
rifornimenti arrivavano spesso con ritardo.
L'impiego delle nostre truppe in uno scenario bellico così lontano
destava non poche preoccupazioni nel nostro Stato Maggiore che doveva
fronteggiare anche altri problemi e difficoltà nei restanti teatri di
guerra, specie quello africano e avrebbe preferito il rientro delle
truppe dalla Russia, ma Mussolini oppose sempre ostinati rifiuti. Voleva
anche "sdebitarsi" con Hitler per gli aiuti ricevuti ma sopratutto
confidava che mandando un forte contingente in Russia avrebbe avuto una
più forte voce in capitolo al futuro tavolo della pace. Non si curò mai
dei consigli rivolti alla prudenza e dei rapporti preoccupati dei suoi
generali. Da qui la sua completa responsabilità degli insuccessi.
La Russia che Hitler aveva ritenuto di poter piegare in breve tempo,
dopo un iniziale sbandamento, dovuto alla sorpresa dell'attacco tedesco,
si era andata riorganizzandosi e mostrava una resistenza inaspettata. La
vastità dei suoi territori rendeva difficile le vie di comunicazione per
far giungere i rifornimenti ostacolati anche da gruppi efficienti di
sabotatori partigiani e il lungo e rigidissimo inverno aiutava i russi
che si trovavano a loro agio in quel clima. Essi erano bene attrezzati
ed equipaggiati, cominciavano a ricevere anche l’apporto importantissimo
di rifornimenti da parte degli Stati Uniti e potevano sempre dispiegare
un largo numero di combattenti grazie alle divisioni dislocate in
Siberia. Nonostante le forti perdite subite, i russi tennero sempre più
testa al nemico e sempre nuovi reparti affluirono al fronte. Stalin usò
spesso il pugno di ferro verso i suoi. Dietro alle divisioni combattenti
c’erano reparti di polizia militare pronti a passare per le armi chi non
combatteva o voleva disertare. Si arrivò così all'inverno tra il 1942 e
1943, ove sferrarono un potente attacco sul fronte del Don, mentre
un'epica battaglia si svolgeva più a sud a Stalingrado coinvolgendo le
migliori forze tedesche che non riuscirono ad espugnare la città e
furono alfine accerchiate e costrette alla resa. Questo segnò una svolta
decisiva nel prosieguo del conflitto.
Il fronte del Don si estendeva più a
settentrione ed era presidiato nella sua lunga estensione da truppe
rumene a sud, poi dalle nostre divisioni per circa 230 km e da quelle
ungheresi più a nord. Era un fronte lungo e con solo una prima linea di
difesa troppo diluita, non c’erano retroguardie tedesche attrezzate
mobili e corazzate per un valido intervento a sostegno dato l’impegno
delle stesse altrove. I reparti, mancando di mezzi, non avevano la
necessaria mobilità di manovra, erano inchiodati sulle proprie
posizioni. I russi lo sapevano e nel corso di dicembre 1942 attaccarono
nel punto più debole, quello tenuto dalle forze rumene, attraversando
con truppe e molti carri armati il fiume ghiacciato e sfondarono
facilmente le linee dilagando nella pianura. Attaccarono poi anche le
nostre divisioni di fanteria sfondando ancora nonostante un’accanita
resistenza. Nel caos che ne seguì molti reparti dovettero lasciare le
posizioni ed i confortevoli ripari invernali che avevano appena
costruito per sfuggire precipitosamente in condizioni avverse ad un
incombente accerchiamento. Lì si vide tutta la precarietà della
situazione: senza entrare nella cronologia degli avvenimenti che si
succedettero in quei giorni convulsi con tragica sequenza, ben
illustrata in altre pagine di questo sito, alfine due divisioni alpine,
la Cuneense e la Julia furono accerchiate. Esse erano state lasciate
indietro fino all’ultimo a presidiare le proprie posizioni per
permettere il ripiegamento d’altre unità, specie germaniche.
L’ostinazione di Hitler che aveva il comando diretto delle operazioni a
voler resistere sul posto fino all’ultimo, come fece a Stalingrado, non
permise a queste ultime di potersi porre in salvo per tempo sganciandosi
dalla morsa del nemico.
L’autorizzazione a lasciare le
posizioni fu infine data troppo tardi nonostante le ripetute richieste
del gen. Battisti, comandante della Cuneense fatta a tutti i livelli. I
reparti rimasero anche privi di collegamenti coi comandi causa anche il
malfunzionamento delle comunicazioni radio e non poterono trovare un
varco, se pur ci fosse ancora stato, per porsi in salvo. Il 29 gennaio
1943 i resti della nostra gloriosa Divisione con il suo comandante, già
decimati dai numerosi combattimenti sostenuti, da marce estenuanti per
giorni e giorni nella neve senza cibo a temperature di anche 40 gradi
sottozero, dovettero arrendersi e furono fatti prigionieri. Al comando
tedesco, ossia ad Hitler che ne aveva assunto il diretto controllo,
spetta dunque la responsabilità specifica della cattura dei resti della
Divisione Cuneense che avrebbe potuto salvarsi solo se avesse ricevuto
l’ordine di ripiegamento un giorno o due prima.
Ma altre gravi responsabilità sono da
addebitare al regime comunista di Stalin per il trattamento riservato ai
prigionieri, come ben documentato su questo sito, nei terribili campi di
concentramento. I soldati già stremati al momento della cattura furono
costretti dapprima a lunghe marce di trasferimento in condizioni inumane
che non possono essere giustificate solo dalle obiettive criticità di
quei momenti. Si verificarono abusi di maltrattamenti. Poi, spogliati di
tutto, sottoposti ad arbitri e vessazioni, fu negato spesso loro nei
campi di concentramento il trattamento umanitario minimo previsto dalla
convenzioni internazionali sui prigionieri di guerra, nemmeno poterono
far giungere notizie a casa sulla loro sorte. La mortalità dei
prigionieri fu altissima, principalmente per la denutrizione, il
congelamento, le epidemie, le negligenze non solo colpose di chi era
preposto alla loro custodia. In seguito dei prigionieri vennero anche
ricattati, obbligandoli a dover subire dei corsi propagandisti politici
di antifascismo e di comunismo. Infine la triste pagina delle
responsabilità di alcuni italiani comunisti in Russia, tra cui Togliatti,
nel rifiuto di intercedere umanitariamente a favore dei prigionieri, per
meschine opportunità ideologiche e per nascondere il trattamento cui
furono sottoposti. Su questo sito viene data particolare rilevanza a
questo aspetto che merita un accurato approfondimento.
Le conclusione sulle responsabilità nel caso esaminato non possono che
essere evidenti. Entrambi i responsabili, Mussolini ed Hitler, pagarono
poi con la vita la sconfitta della guerra per l’insieme degli errori
fatti prima e durante la guerra con le loro scellerate scelte
avventuristiche ed aggressive. A Mussolini tuttora vengono addebitati
spesso più alcuni delitti politici verso suoi oppositori che gli errori
militari che costarono ben più numerose vittime. Dei fatti della guerra
mondiale e dei molti nostri caduti sui vari fronti si è sempre parlato
troppo poco rispetto al successivo periodo della Resistenza, quasi a
voler rimuovere certi ricordi poco piacevoli legati a quel conflitto.
Sicuramente la sciagurata alleanza con il regime nazista hitleriano, che
con la sua delirante ideologia e con le sue crudeltà provocò milioni di
morti in tutta Europa, peseranno sempre molto negativamente sul giudizio
del suo operato. Ma non dimentichiamo nell’altro campo i circa 20
milioni di morti costati alla Russia dal feroce regime staliniano nello
stesso periodo, verso la sua stessa popolazione con le sue purghe
interne e la deportazione di intere popolazioni in Siberia e così anche
l’uso dell’arma atomica, appena realizzata e subito utilizzata, da parte
degli Stati Uniti sulla popolazione civile di due città indifese del
Giappone per ottenerne prima la resa o i bombardamenti a tappeto degli
alleati sulle città tedesche con centinaia di migliaia di vittime. In
questo epocale conflitto mondiale pagarono spesso più i civili dei
militari.
La guerra ha infine sporcato le mani a tutti, come in altre anche qui
non ci sono semplicisticamente i buoni da una parte e i cattivi
dall’altra, ci sono stati dei carnefici e delle vittime. Innumerevoli
furono gli episodi di eroismo da parte dei combattenti e civili d’ogni
parte come pure efferate violenze e soprusi.
Alla Cuneense toccò pagare un prezzo altissimo con nostri giovani di
allora mandati allo sbaraglio. La generazione che visse quegli eventi e
anche quelle venute dopo nei nostri luoghi non lo dimenticano. Ecco
perché essa, grazie al suo sacrificio, è sempre viva nei nostri cuori.
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